Dico subito da che parte sto: meglio delusi che illusi.
Personalmente preferisco l’amarezza «causata dalla mancata realizzazione di una speranza» (così il Dizionario di base De Mauro-Moroni definisce «delusione») alla «visione distorta della realtà sulla base dei propri desideri e delle proprie aspettative» (in questo caso tra virgolette ho riportato la definizione che lo stesso dizionario dà di «illusione»).
In verità, come tutti sappiamo, è inevitabile incontrare nella nostra esperienza quotidiana un po’ dell’una e un po’ dell’altra, così come ci capita di passare da un’illusione ad una delusione e da quella ad una nuova illusione.
Ma forse occorre che spieghi meglio a cosa mi sto riferendo.
Le parole sono importanti.
Qualcuno si ricorda la sequenza del film Palombella rossa in cui il personaggio impersonato da Nanni Moretti si indispettiva per il modo di esprimersi impreciso e superficiale della giornalista che lo stava intervistando e le dava uno schiaffo urlando «Le parole sono importanti»?
In questo episodio il regista ha portato all’eccesso la reazione del protagonista, per far sorridere e far riflettere chi guarda sull’uso inopportuno che facciamo di tante espressioni di uso comune.
Lo schiaffo è simbolico, una specie di doccia fredda a ciascuno di noi, come a dire: «Ehi, dico a te, di cosa stiamo parlando?»
In questo blog partito a settembre, mi sono preso un periodo di tempo relativamente lungo, dal 16 novembre fino all’articolo che state leggendo ora, per offrire – prima di tutto a me – l’opportunità di guardare da diversi punti di vista – per l’esattezza tredici – la consapevolezza. E in tutte o quasi tutte le occasioni, è saltato fuori il riferimento allo «spirituale».
Jon Kabat-Zinn nel libro di cui parlavo settimana scorsa dice delle cose che secondo me meglio non si potrebbero dire.
Ricorda che il termine «spirito» deriva dal verbo latino spirare, che significa «respirare» e che nel suo “senso più profondo, il respiro stesso è il massimo dono dello spirito”.
Sono d’accordo con lui che l’uso della parola «spirituale» è da evitare del tutto, perché “il lessico della spiritualità crea più problemi di quanti ne risolva”.
Il concetto di spiritualità può limitare anziché estendere il nostro pensiero. […]
Forse, in ultima analisi, spirituale significa semplicemente sperimentare direttamente completezza e intercorrelazione, rendersi conto che individualità e totalità sono connesse, che nulla è separato o estraneo. Se la posizione è questa, tutto diviene spirituale nell’accezione più profonda, sia il lavoro scientifico sia lavare i piatti.
Come ricorda Kabat-Zinn l’attaccamento ad una presunta verità spirituale ha sempre avuto “conseguenze gravissime” e il concetto stesso di «spirito» e il suo riferimento ad un rivolgersi “verso l’alto”, al di sopra delle qualità terrene, verso un’idea di trascendenza, può diventare una grande via di fuga, o, come la definisce lui «un carburante ad alto tenore di ottani dell’illusione».
Occorre tornare al quotidiano e al consueto – ci dice Kabat-Zinn – e all’anima che, a differenza dello spirito, è diretta “verso il basso”: un po’ come capita nella pratica bioenergetica quando si invita chi partecipa a “radicarsi” nel respiro e nel contatto con il proprio avere “i piedi per terra”.
Nel nostro quotidiano essere autenticamente umani non può mancare nessuna di queste due dimensioni: alto e basso, anima e spirito, materiale e immateriale e abbiamo il dovere e il compito di farci carico e avere la piena presenza e responsabilità di questo mondo diviso e frammentato, nella “eroica e incessante ricerca che ciascuno di noi rappresenta”.
Musica: Ludovico Einaudi – Una mattina